pubbli larga

giovedì 29 marzo 2012

Fattore H



Quasi ogni giorno, quando torno a casa dopo il lavoro (correndo) incontro una signora del palazzo.
Esce da casa spingendo una sedia rotelle, lascia il portone aperto per poter rientrare agevolmente e si mette ad aspettare sul marciapiede. Aspetta il ritorno della figlia, la riportano a casa in pullmino dopo aver passato la giornata in un istituto speciale. Delle volte aspetta qualche minuto, delle volte un po’ di più. Si mette sul marciapiede e con ansia e trepidante attesa guarda lontano in cerca della sagoma del pullmino all’orizzonte.
Io, guardandola mi sento struggere e mi sento una merda…
Non so neanche cosa abbia la figlia e quanti anni abbia…
Le pochissime volte che le ho incontrate insieme, ho salutato la mamma ma alla figlia non ho detto nulla.
Non so neanche come si chiama, forse se lo sapessi farei l’errore che fanno tutti, salutandola facendo la vocina come se fosse una bambina piccola quando invece è più grande di me.
Dimenticandoci che è una persona, che ha diritto alla proprio dignità e al rispetto.
Da quando ho raggiunto lo status di mamma, anzi come dice la Pop di memme, ho resistenza zero nei confronti di bambini malati. Mi commuovo vedendo le immagini e se ne incontro qualcuno in giro mi si stringe il cuore, non riesco a incontrare il loro sguardo e mi sento una merda...
Non so bene il motivo, forse mi sento immeritatamente fortunata, forse mi sento in colpa… ma di cosa poi? Mica è colpa mia…
Ho provato queste sensazioni al parco quando ho visto un bambino con i capelli rasati per la chemio o al supermercato quando un bambino sulla sedia a rotelle aveva iniziato a urlare e quando incontro questa signora.
Non mi piace la consuetudine che c’è ora di definire queste persone con l’espressione “diversamente qualcosa”, mi sembra di prenderli in giro, usando questa negazione, è una falsa cortesia.
Io sono molto miope, senza occhiali o lenti non vedo una mazza, anzi mi sento persa e non mi sento certo meglio se uno mi definisce “una che non vede tanto bene o diversamente vedente”.
Preferisco dire che “sono persone con qualche problema” tanto i problemi, grandi o piccoli ce li abbiamo tutti e di varia natura.
Vedo questa signora, questa mamma, a dire la verità anziana mamma e mi chiedo cosa ne sarà della figlia quando lei non ci sarà più, ora che lei è così coccolata da lei?
La vedo sorridere, accogliere l’arrivo della figlia con gioia e affetto e poi entrare in casa.
Mi chiedo come passeranno la giornata, non le vedo mai in giro o al parco.
E mi sento in colpa per le volte che, rientrando io a casa, magari in un giorno di pioggia, sbuffando mi chiedevo: “E che mi invento oggi pomeriggio da fare con la Pop?”.
Questa estate in hotel in montagna c’era una coppia con un bambino con problemi. Ci avevano messo tutti vicini, le famigliole con bambini, tutti abbiamo fatto amicizia con gli altri, chiedendo del bambino, quanti anni avesse ecc.
Con loro no.
E mi rendo conto che è stato un comportamento sgradevole, dettato non dalla maleducazione o insensibilità ma dal fatto di non sapersi come comportare, dalla inadeguatezza, per non offendere, per paura di agire si finisce per rimanere immobili e non fare nulla, ferendo ugualmente...
Ripenso al sorriso della ragazza del mio palazzo, agli occhi pieni d’amore del bimbo in montagna, alla vivacità di quello nel parco giochi, ai ragazzi down cui stavano facendo un corso di fotografia al parco e dicevano “Mi raccomando prima regola: non tagliate né le teste, né i piedi”.
E mi chiedo, perché preferiamo non sapere e non vedere?
Ma chi l’ha detto che il nostro mondo sia quello giusto e non il loro? Che il nostro sia il normale e il loro il non-normale o diversamente normale? Forse il mio amore nei confronti della Pop sarebbe minore o diverso? Non credo proprio, l’amore di mamma è sempre immenso e incondizionato!
Forse per questo, prima di rimanere incinta pensavo di voler fare tutti gli esami e le analisi  possibili, anche invasive, e poi invece non ho fatto nulla, ho fatto solo il minimo indispensabile per non disturbare la Pop nel suo, anzi nel nostro nido d’amore.
Il mondo di questi ragazzi non va visto con paura, con pena o tristezza ma con rispetto… è un mondo ricco di strane voci, immagini sfocate, pensieri magari traballanti ma forse ugualmente o addirittura più felici.

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