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martedì 3 aprile 2012

Il mio bau bau


Il bau bau è quella cosa che da bambino ti spaventa da morire, non ti fa dormire, che ti compare davanti agli occhi appena li chiudi, che ti fa tremare dalla paura.
Per alcuni può essere una tigre, un mostro, un bandito…


Per me da piccola e forse tuttora è l’olocausto.
Da Wikipedia olocausto significa dal greco: bruciato interamente, ecco mai parola fu più appropriata.

Non bisogna aspettare il 27 gennaio, la giornata della memoria, per trattare questo argomento, fa sempre bene parlarne.
Non so quando ne ho sentito parlare la prima volta ma uno dei miei primi ricordi risale a quando avevo 10 anni, a un film di Comencini tratto dal film “La storia” di Elsa Morante,  ricordo perfettamente la musica, i nomi dei protagonisti, l’angoscia delle vicende narrate e i conseguenti incubi notturni…
Nessuna mente umana, neanche la più fervida fantasia sarebbe riuscita a creare un mostro e un’aberrazione di una tale portata come lo sterminio degli ebrei, shoa in lingua ebraica significa appunto distruzione, catastrofe.
Non c’è uomo nero, orco, Mangiafuoco, Strega bistrega che tenga, che possa reggere il confronto con chi ha pensato e attuato questa atrocità e ancor più con chi ha permesso che succedesse per anni…
E’ stato tutto talmente assurdo e fuori dalla umana concezione, come se uno si fosse svegliato una mattina e avesse detto “Uccidiamo tutti quelli che si chiamano Paolo! Perché? Perché si” e in milioni gli sono andati dietro o vigliaccamente sono rimasti inermi. Il non agire implica comunque una scelta, uno schierarsi, un avallare i pensieri folli degli altri.
Il ghetto è uno dei posti che amo di più di Roma, è magico, silenzioso, trasuda emozioni e storia da ogni mattone. Mi piace arrivarci da Teatro Marcello, perdermi nei vicoletti e mangiarmi un bel pezzo di torta ricotta e cioccolato. Proust aveva la sua madeline, io ho la torta alla ricotta!!


L’unico inconveniente è che mi dimentico sempre quando è giorno di festa per gli ebrei e quindi devo andarci minimo 3-4 volte e trovarla chiusa per tornarci di nuovo e poterla finalmente gustare. Come quando un giorno lavorativo all’improvviso qui in zona o anche vicino casa trovo tutto chiuso e poi capisco perché trovo il cartellino con scritto “Chiuso per festività” e solo allora ti rendi conto di quanto sia diffusa e radicata questa cultura.
Durante il liceo ci portarono al Museo Storico della Liberazione di Via Tasso, mi suscitò incubi a non finire la visita a quelle cellette, la vista delle scritte che avevano fatto i prigionieri, in particolare su un muro ne trovai una che indicava “E’ stato …. (il mio cognome)”. Il rimorso per avere come omonimo o forse lontano parente un traditore!
Erano conservati anche dei pezzi di pane o di stoffa su cui incidevano dei messaggi. Ricordo che era un museo tenuto in vita dai sopravvissuti e cercando su internet mi rendo conto che è ancora così, c’è un invito a fare donazioni per sostenerlo.
Questa visita, unita alla lettura di Primo Levi, Anna Frank, Renata Viganò e altri scrittori del periodo e fomentata dai forti e assoluti sentimenti tipici dell’adolescenza mi hanno portato una rabbia e un senso di frustrazione enorme relativi a questa tragedia.
Avrei voluto che tutti i miei amici e compagni di scuola si unissero a me provando le stesse cose. Mi sentivo staffetta partigiana, mi sentivo in prima linea, avrei voluto ribaltare la storia, portare io quel fardello.
Ma cos’avremmo potuto fare? Purtroppo era già tutto scritto, una pagina assurda e tristissima che non si potrà, né dovrà mai cancellare. Potremmo solo vigilare affinchè la storia non si ripeta, cambiando protagonisti ma tramandando la stessa follia.
Mi arrabbiai con dei miei compagni che ridevano e scherzavano fra loro mentre stavamo assistendo, in occasione del 25 aprile, a una conferenza di sopravvissuti. Una mia compagna aveva perso il padre anni prima per tumore e io volevo aggredirla dicendole “Proprio tu che sai cosa significa, non hai il minimo rispetto…” non so se lo feci davvero oppure no.
Anni fa andammo in Polonia e sinceramente non me la sentii di visitare Auschwitz e Birkenau, so tutto quello che c’è ma preferisco non vederlo di persona, non voglio un’altra dose di incubi notturni.
Più che altro credo che ci dovrebbero andare le teste di cazzo che ogni tanto vedo in giro con il braccio teso, chiamarsi camerata fra di loro, ragazzini che non sanno neanche di cosa stanno parlando, che fanno il picchetto d’onore di fronte una scritta sul muro a caratteri cubitali, che hanno bisogno di un blindato della polizia che li protegga, che li scorti proprio in quei giorni di neve e caos a Roma in cui sarebbe stato senz’altro più utile altrove….
Ecco... questo misto di esaltazione, violenza e ignoranza è ancora il mio bau bau…

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